CANZANO 1–
Alcuni agnostici ed atei affermano che escludendo "qualche oscuro
riferimento in Giuseppe Flavio e simili", non ci sono prove storiche
della vita di Gesù al di fuori della Bibbia. Nonostante l'evidenza
dell'accuratezza e della fedeltà storica del Nuovo Testamento della
Bibbia, tu escludi che tali prove sono vere?
TRANFO -
E’ bene innanzitutto intendersi sui termini. A tal proposito devo
precisare che il linguaggio e la cultura comuni al nostro tempo
riconoscono immeritatamente al Nuovo Testamento il valore di una
testimonianza storica che il tempo ha conservato inalterata
dall’accadimento dei fatti narrati ai nostri giorni, tanto è vero che
“Vangelo”, nella comune accezione, è divenuto sinonimo di “verità”.
In realtà non c’è nulla di più falso. I Vangeli a noi noti non sono che
il frutto di secolari manipolazioni, tagli, aggiunte e correzioni di
parti preesistenti.
Lo storico Celso nel suo Discorso Veritiero, già nel II secolo,
rivolgendosi ai cristiani ebbe a dire: “La verità è che tutti questi
pretesi fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato
senza pertanto riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di
credibilità. È noto a tutti che ciò che avete scritto è il risultato di
continui rimaneggiamenti fatti in seguito alle critiche che vi venivano
portate".
Gli antichi redattori e i successivi “correttori” degli scritti
neotestamentari, dovettero tener conto, oltre che delle esigenze così
ben rappresentate dalle parole del loro contemporaneo Celso (che li
spinse ad adeguare progressivamente la propria “testimonianza”
all’evangelizzazione di popoli votati a culti e tradizioni diversi)
anche della necessità di distanziarsi dal variegato microcosmo delle
sette eretiche che si sviluppò nei primi secoli della nostra era,
minacciando l’univocità della costruzione teologica faticosamente
realizzata e posta a base della fede cristiana. Un’operazione di tale
complessità (considerando anche il lungo arco di tempo durante il quale
si svolse) non poté che favorire l’insorgenza di errori e disarmonie tra
i racconti, che da sempre il “pulpito” si guarda bene dall’evidenziare e
che per lo studioso serio (esegeta, critico testuale o storico che sia),
costituiscono motivo di riflessione ed approfondimento.
Non mi riferisco soltanto alle insanabili contraddizioni biografiche
nella rappresentazione del personaggio di Gesù di Nazareth che, secondo
il Vangelo preso a riferimento, nacque nel 4 a.c. o nel 6 d.c., che
dovette fuggire in Egitto o rimanere dov’era, che ebbe genealogie tra
loro non sovrapponibili, apostoli di numero diverso e con nomi
differenti, che fece miracoli diversi, che fu crocifisso alla presenza
di persone diverse e resuscitò lasciando sbigottite dinnanzi al sepolcro
vuoto testimoni diversi (potrei continuare per molto ma preferisco
fermarmi qui).
Non mi riferisco, dicevo, soltanto a tali scoordinate attestazioni ma
anche a quegli scomodi residui testuali o scorie spurie che, dietro al
mite “Agnello di Dio” o “Salvatore del Mondo” lasciano intravedere un
agitatore politico di stampo nazionalistico e fede messianista. E’
grazie ad essi che siamo a conoscenza del nomignolo con il quale Gesù
appellò i propri apostoli: “Boanerghes” che significa “figli del tuono”
o, secondo alcuni esperti di lingua aramaica “della vendetta”. Grazie
agli stessi sappiamo che il mite San Pietro era chiamato “Barjona” che
tradotto significa “latitante alla macchia” e che, molto tempo dopo aver
staccato un orecchio con un colpo di spada ad una guardia del tempio sul
Monte degli Ulivi (Giovanni, 18:10), soppresse i coniugi Anania e
Zaffira, rei di non aver versato alla comunità il ricavato della vendita
di un loro terreno (Atti, 5:1-11).
Ancora grazie agli stessi incontriamo un Gesù che invita i suoi
discepoli ad armarsi: “L'ora è venuta, chi non ha una spada venda il
mantello e ne compri una… ed essi dissero: "Signore ecco qui due spade"
(Luca, 22:36), che istiga il popolo alla disobbedienza fiscale: “Abbiamo
trovato quest'uomo che sovvertiva la nostra nazione, istigava a non
pagare i tributi a Cesare e diceva di essere lui il Cristo re.” (Luca,
23:2), che invoca la guerra: "Sono venuto a portare il fuoco sulla
terra; e come vorrei che fosse già acceso! pensate che io sia venuto a
portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione” (Luca,
12:49), che ignora le preghiere quando non provengono dal suo popolo “Io
non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele… non
è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini” (Matteo,
15:24; 26).
Anche su questi aspetti potrei continuare per molto ma credo di aver già
a sufficienza dimostrato quanta poca attendibilità storica ci sia nella
testimonianza dei Vangeli e, soprattutto nella ricostruzione del
personaggio di Gesù di Nazareth la cui immagine è stata ricomposta dalla
dottrina cristiana in una sorta di teorico “quinto canone” nato in seno
alla tradizione apostolica (condizionata fin dall’inizio dalla cultura
ellenistica) e diffuso a piene mani all’ombra del campanile ad ignare
folle chiamate all’estasi mistica e dissuase da sempre dallo studio
della storia e dalla comprensione della verità (beati i poveri di
spirito…).
Dopo aver risposto alla seconda parte della tua domanda, cercando come
ho detto di dimostrare, nei limiti di uno spazio ragionevolmente
contenuto, che “i Vangeli e gli Atti degli Apostoli sono letteratura”
(come dice il prof. R.H. Eisenman nel suo ultimo libro “Giacomo il
fratello di Gesù”), passo ora alla prima parte della stessa affrontando
il tema della sporadicità delle attestazioni, da parte degli storici dei
primi secoli, sul personaggio di Gesù.
Tu stessa citi Giuseppe Flavio, riferendoti a quella che sostanzialmente
è l’unica testimonianza alla quale la fede cristiana ha fatto
riferimento per secoli prima di arrendersi di fronte all’evidente natura
apocrifa della stessa (ormai anche la Chiesa sembra aver cessato di
sostenere l’autenticità del passo).
Se il Testimonium Flavianum (così è chiamato il passo in questione)
fosse realmente scaturito dalla penna del più accreditato storico di
fatti giudaici del I secolo, dovremmo registrare, fin dalla riga
successiva allo stesso, la conversione di un integerrimo sacerdote ebreo
quale era Giuseppe (di discendenza sacerdotale e di stirpe Asmonea) alla
fede cristiana.
Poiché, tuttavia, tale “dichiarazione di apostasia” appare come
un’isolata “nota stonata” e fuori posto nel percorso testuale e
cronologico dell’opera, poiché appare per la prima volta soltanto nel IV
secolo dalle “pie mani” di un noto falsario (reo confesso) che risponde
al nome di Eusebio di Cesarea (gli stessi “Padri della Chiesa” che lo
precedettero dimostrarono di non conoscere tale passo che, se presente,
sarebbe loro ritornato più che utile), poiché, infine, nei suoi
contenuti ripropone in maniera pedissequa gli stessi capisaldi del credo
niceano varato sotto l’egida del potere imperiale costantiniano non meno
di due secoli dopo la morte di Giuseppe Flavio (“seppure bisogna
chiamarlo uomo…questi era il Cristo… Pilato lo punì di croce… apparve
loro il terzo giorno”), poiché per tutti questi e per molti altri
motivi, che sarebbe estremamente lungo esporre, il passo in questione
non può essere considerato autentico, non resta che ammettere che su
quaranta storici del tempo, tra i quali sono da comprendere Giusto di
Tiberiade e Filone d’Alessandria che vissero in quei tempi e in quei
luoghi (o vicino ad essi), nessuno si accorse degli straordinari prodigi
dispensati da Gesù di Nazareth, a cominciare dalla sua nascita
annunciata da una stella fino a terminare con la sua morte (per non
parlare della resurrezione…) che, secondo Matteo, provocò oscuramenti,
terremoti con epicentro il Golgota, resurrezioni dei santi e squarci del
velo del tempio!
E’ come se la più straordinaria vicenda di tutti i tempi si fosse svolta
sotto gli occhi di decine di storici di indiscusso credito testimoniale
senza che gli stessi fossero stati in grado di vederla!
Dal canto proprio i Vangeli ci presentano un quadro edulcorato dove
fermenti sociali e tensioni (così drammaticamente rappresentate dagli
storici) stingono e svaniscono in una mistica estasi celestiale. Non
appaiono mai gli zeloti (se non nell’appellativo di un apostolo rimasto
per sbaglio al suo posto), sono completamente assenti gli esseni
(definiti da Giuseppe Flavio “terza filosofia”), nonostante lo
straordinario peso ideologico che gli stessi ebbero nell’universo
culturale e fideistico della Palestina di quei tempi, non vengono
registrate le sommosse e non si parla del sangue quotidianamente sparso
per via delle stesse… insomma, non solo la storia, quella testimoniata
dagli storici, non conosce Gesù ma la storia di Gesù non conosce quella
testimoniata dagli storici.!
Potremmo giustificare il fenomeno ricorrendo alla teoria degli “universi
paralleli” ma usciremmo inevitabilmente dal seminato delle “evidenze”
alle quali lo storico è tenuto ad attenersi.
CANZANO 2
– Tu cito il “Discorso Veritiero” dello storico Celso che già nel II
secolo aveva accusato i cristiani di raccontare menzogne, ma, se già nel
II secolo c’erano dei dubbi, come ha fatto il cristianesimo con queste
basi a diventare il centro della cultura occidentale?
TRANFO –
La nostra conoscenza della storia, con riguardo alle origini del
cristianesimo, è fortemente condizionata dalle convinzioni indotte in
noi tutti fin dall’età scolare.
In realtà, quello che abbiamo appreso sui banchi e all’ombra del
campanile non è altro che una “rappresentazione accomodata” di eventi
che, per antefatti, implicazioni e conseguenze, sono lontano anni- luce
da ciò che accadde realmente.
Per spiegarmi meglio, prima di rispondere direttamente alla tua domanda
ti invito a riflettere su uno degli argomenti intorno ai quali
l’immaginario “subculturale” didattico, narrativo e perfino
cinematografico (Ben Hur, Quo Vadis ecc.) ancora oggi fa leva per
suscitare emozione e partecipazione: le persecuzioni.
Come sai l’impero romano rappresentò l’espressione più avanzata del
progresso e della civiltà cosmopolita e plurirazziale del mondo antico.
Roma fu tollerante con tutte le tradizioni e le fedi dei popoli
sottomessi ai quali consentì di praticare il proprio culto ed edificare
templi conservando peraltro anche gli ordini sacerdotali ad essi
preposti.
Ti sei mai domandata come mai Roma non riuscì ad essere tollerante
proprio nei confronti dei miti e pacifici oranti di fede cristiana
disposti a dare “a Cesare quel che è di Cesare”?
Perché Tacito e Svetonio espressero un così vivo disprezzo per un’umile
e innocua fede conciliante con il potere e volta a valorizzare
esclusivamente il mondo celeste?
Come mai per tre secoli imperatori saggi ed equilibrati come Traiano,
Antonino Pio, Marco Aurelio e molti altri, se non alimentarono le
persecuzioni contro i cristiani si guardarono comunque bene dal
liberalizzarne il culto?
La risposta è una sola: la nuova fede fu vista come una seria minaccia
all’ordine pubblico in quanto ispirata dal pensiero
messianico-autonomista di estrazione giudaica e animata da spirito di
rivalsa contro le istituzioni del potere imperiale.
Se c’era una cosa nei confronti della quale Roma non conosceva
tolleranza alcuna, questa era proprio la minaccia nei confronti
dell’ordinamento istituzionale.
Fino almeno alla seconda metà del II secolo i “perseguitati” non ebbero
nulla a che fare con la fede in Gesù Cristo (il cui personaggio
degiudaizzato e reso universale era in corso di coniazione
esclusivamente in seno al giudaismo revisionista di stampo ellenistico).
A finire in catene o nell’arena non furono i miti e pacifici “santi”
come la storiografia cristiana ci induce a credere ma i giudeo
messianisti ribelli e irrassegnati di fronte al ritardo da parte di Dio
nell’adempimento di una promessa biblica che li voleva liberi e sovrani
del mondo.
Soltanto nel III secolo il cristianesimo “paolino” ebbe la meglio sui
“cristianesimi secondari” che iniziarono ad essere criminalizzati e
bollati come eresie (il libro di B. D. Ehramn “I Cristianesimi perduti”
presenta un esaustivo quadro del variegato planetario di infinite
espressioni del primo cristianesimo e delle dinamiche di fagocitazione
di quelle “perdenti” da parte della “forma vincente” che ancora oggi
regna incontrastata).
Tuttavia per almeno un secolo ancora il cristianesimo dovette lottare
sia sul fronte interno (contro la proliferazione delle forme “deviate”)
che su quello esterno (il potere imperiale) non ancora in grado di
distinguere le vecchie forme politico insurrezionali di stampo giudaico
dalla nuova e compiuta espressione di fede universale assecondante (ora
si!) con le istituzioni. Soltanto nel IV secolo, di fronte al dilagare
della nuova fede (grazie alla crisi dei valori espressi dall’obsoleto
politeismo romano-ellenistico), Costantino ebbe la geniale intuizione di
stabilire la più micidiale alleanza di tutti i tempi sotto l’egida
della quale nei secoli successivi sono stati sterminati interi popoli e
distrutte o assoggettate straordinarie civiltà.
Non fu l’uomo (Gesù) a cambiare il mondo ma il mondo a cambiare l’uomo
per i propri fini di potere.
Questa lunga premessa è stata necessaria per poter adeguatamente
rispondere alla tua domanda.
Celso, vissuto sotto Marco Aurelio, fu un’espressione culturalmente
avanzata di quel pensiero istituzionale che ebbe ben chiari i pericoli
connessi allo sviluppo di una mistificazione, un’autentica impostura
che, favorita dall’ingenuità e dall’ignoranza dei ceti popolari, già in
quel tempo aveva iniziato a riconvertire il fondamentalismo giudaico
messianista e intollerante in “pacifismo” universale e conciliante, la
spada in ramoscello d’ulivo, la croce (simbolo d’infamia e sovversione)
in strumento salvifico e redentivo, il riscatto giudaico in promozione
dell’uomo e del mondo. Se tali “riconversioni” e “ricicli” furono
chiari per Celso che ne denunciò la fraudolenza, essi non lo furono per
le masse semianalfabete e in piena crisi di valori alle quali
prevalentemente (e non a caso) l’evangelizzazione cristiana proponeva
il giusto riscatto della “vita eterna” (mutuato dal riscatto “in terra”
al quale era originariamente volta la lotta messianista).
A quei tempi la cultura non circolava certo come oggi. Non c’erano
giornali né internet e con ogni probabilità il “risentimento
istituzionale”, giustamente motivato dal timore delle turbative per
l’ordine pubblico, fu vissuto dagli stessi destinatari della
repressione (ignari delle reali origini ideologiche della propria fede)
come un ingiusto e immotivato accanimento contro l’amore universale del
quale si sentivano portatori. La denuncia di Celso restò circoscritta
ad un ambiente che già ne conosceva i contenuti e ne condivideva
l’orientamento, ecco perché non arginò minimamente lo straordinario
sviluppo che il cristianesimo ebbe successivamente.
Non avremmo mai saputo nemmeno dell’esistenza della preziosa
testimonianza offerta dal “Discorso Veritiero” se non fosse stato per
Origene che più di un secolo dopo pensò bene di ripescare questo
“scheletro” dall’”armadio” degli scritti censurati dalle “pie mani”
della Chiesa per confutarne parola per parola il contenuto in un’opera
apologetica di otto libri titolata “Contro Celso”.
Le intenzioni di Origene erano “buone” dal punto di vista della difesa
della dottrina cristiana, tuttavia non penso che la Chiesa (che
peraltro nel VI secolo lo rinnegò) gli sia mai stata grata per tale
“felice idea”…
CANZANO 3–
Nella teologia <http://it.wikipedia.org/wiki/Teologia>
cristiana, la verità dogmatica che discende dalla rivelazione divina
viene considerata talmente evidente che coloro che non la accettano si
pongono al di fuori della chiesa <http://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_(istituzione)>
stessa e sono tacciati di eresia <http://it.wikipedia.org/wiki/Eresia>
, al punto che una loro proposta di discussione o revisione per il
cristianesimo può portare all'esclusione dalla partecipazione al culto.
Quando e come sono nati i dogmi?
TRANFO -
Nell’economia delle poche righe delle quali dispongo non è facile
rispondere in maniera esaustiva a questa domanda. Cercherò, pertanto, di
seguire “in volata” il percorso storico che ha portato la Chiesa a far
vincere la propria “verità rivelata” contro tutte le “deviazioni”
teologiche che, soprattutto nei primi secoli, ne minavano il primato.
Ho già accennato alle origini della fede cristiana collocandone la
nascita e il successivo sviluppo in epoca non anteriore alla metà del II
secolo, quando il messianismo giudaico e insurrezionale dell’”attesa”,
una volta tramontata ogni possibilità di successo, iniziò a
riconvertirsi in cristianesimo “gesuano” dell’”avvento”, proponendo
come “storica” una lettura mistica e leggendaria dei fatti accaduti in
Palestina almeno un secolo prima.
Il nascente cristianesimo, per garantire a se stesso la straordinaria
diffusione che poi di fatto ebbe tra popoli di fede e cultura diverse,
prendendo a pretesto un fatto politico e locale (del quale abbiamo
fondati indizi negli scritti di Giuseppe Flavio) e riconvertendolo in
evento universale e trascendentale, assimilò in una gigantesca sincresi
un’infinità varietà di archetipi appartenenti agli antichi culti pagani
e misterici sui quali costruì il personaggio di Gesù di Nazareth, dando
così l’avvio alla realizzazione di quelle fondamenta teologiche che due
secoli dopo saranno poste a base del credo niceano.
Ciò, tuttavia, non fu sufficiente, almeno all’inizio, a garantire alla
nuova fede una “corsia privilegiata” di affermazione rispetto alle
innumerevoli sette esistenti. Per avere un’idea dell’enorme variegazione
di orientamenti diversi in seno al nascente cristianesimo, e
conseguentemente della fatica che il cristianesimo “paolino” dovette
affrontare per affermarsi sugli altri, basti pensare che le attuali
diversità tra riti, confessioni e chiese in seno alla fede cristiana non
esprimono che in minima parte quello che fu il panorama di quel tempo.
In una tale “selva ideologica” di “cristianesimi diversi”, alcuni tesi a
valorizzare l’avvento messianico in forma apparente ed incorporea (docetismo)
altri incentrati sulla natura esclusivamente umana e non divina di
Cristo, uno solo si rivelerà “vincente”, giungendo ai nostri giorni in
veste di “unica” e “indiscutibile” verità rivelata, proprio grazie
all’intolleranza verso qualsiasi diversità teologica e fideistica.
La strada scelta impose innanzitutto la stesura di un canone scritto,
per evitare che i “punti fermi” della verità “rivelata” si diluissero e
svanissero nella fluidità delle tradizioni orali in perenne metamorfosi
evolutiva.
Dalla scelta di quattro tra innumerevoli altri Vangeli, nacque così il
Nuovo Testamento (successivamente oggetto di interventi correttivi e
interpolazioni ancora stratificate nel tessuto narrativo) nel quale la
biografia di un erede davidico giustiziato dai romani sulla croce per il
reato di “lesa maestà”, fu mescolata con le parole di un “illuminato di
nome Yeshua (Gesù) condannato dal sinedrio alla lapidazione avvenuta a
Lydda negli anni successivi alla guerra del 70 d.c.
Sul nuovo uomo/dio, come accennato, fu modellata la fisionomia di tutti
i “Soter” pagani (maternità virginale, nascita in una grotta al
solstizio d’inverno, morte e resurrezione dopo tre giorni, ascesa al
cielo, promessa di un ritorno alla fine dei tempi ecc.).
Tutti coloro che non si riconobbero nei canoni (frutto di arbitrarie a
fallaci scelte umane) furono isolati, maledetti e successivamente
perseguitati.
Così nacque l’eresia, parola la cui originale accezione greca (αιρεσις,
scelta) è ben lontana dal significato negativo al quale siamo stati
condizionati dalla tirannia culturale esercitata dal cristianesimo
perfino in campo lessicale.
Con questa espressione divenuta simbolo d’infamia, venne etichettato
quel multiforme mondo ideologicamente non allineato (per un aspetto o
per l’altro) alla “verità rivelata direttamente da Dio”.
Gli eretici furono perseguitati dalla Chiesa perfino quando essa stessa
era ancora a propria volta perseguitata in quanto, nonostante ormai
nemica giurata del giudaismo e assecondante con il potere di Roma,
continuava ad essere dallo stesso ritenuta erede ideologico di quell’antico
fondamentalismo sviluppatosi nella più ingovernabile delle province e
non ancora dimenticato.
Ignazio di Antiochia, Ireneo di Lione, Ippolito di Roma, furono
perseguitati e subirono il martirio dopo aver lasciato a loro volta al
mondo una testimonianza di irriducibile avversione contro qualsiasi
“devianza” o semplice diversità teologica o dottrinaria dall’unica
“verità rivelata”.
Tuttavia non servì a molto lasciare fuori dalla porta le “diversità”, in
quanto all’interno stesso della Chiesa l’eresia continuò a svilupparsi
insidiando l’univocità del “verbo”.
D’altra parte il secolare processo che portò alla definizione della
“verità rivelata Dio” (frutto in realtà di prevaricazioni e compromessi
tra uomini…) fu così profondamente condizionato dalle lotte intestine
(nelle quali furono coinvolti ideologi ed ecclesiastici) che, prima di
assumere la attuali forme, detta “verità” assunse mille volti diversi:
in un tale frenetico divenire, un pensiero quale può essere
l’investitura divina di un Cristo precedentemente umano (adozionismo) o
la diversità di sostanza tra il Figlio e il Padre (arianesimo), poteva,
da un concilio all’altro, passare dall’”altare” alla “polvere”.
Per Ignazio Gesù derivò sia da Maria che da Dio, Ireneo preferì l’idea
dell’incorporamento, Origene quella della mescolanza (krasis), Ippolito
quella dell’irradiazione ecc.
Il concilio di Nicea del 325, voluto da Costantino, servì proprio a dare
una connotazione stabile e definitiva all’impianto teologico cristiano.
Nacque così il “credo”, ancora oggi coralmente recitato dall’assemblea
dei fedeli radunata dinnanzi al pulpito: un allucinante surrogato di
assurdità maldestramente fissate in quella circostanza e successivamente
integrate, corrette e riformulate nei concili successivi per contrastare
le nuove eresie e per meglio adattarsi alle nuove esigenze delle sacre
alleanze con l’impero o, più tardi, con le grandi monarchie.
Ogni singola espressione presente nella nota preghiera, ha una storia ed
un fine preciso che non ha nulla a che vedere con la testimonianza di
qualsiasi verità né con alcuna umana logica.
L’incredibile miscuglio di allucinanti elucubrazioni camuffate da
affermazioni di fede, in frequenza ininterrotta e in reciproca
contraddizione, fu frutto dell’immaginario schizofrenico, ma… illuminato
dallo spirito santo (sic!), di una chiesa alla disperata ricerca di
un’identità dogmatico- teologica da definire e da opporre alle
pericolose “devianze” espresse delle eresie, mediante la sua
“professione di fede” spacciata per “verità” in barba all’umano
buonsenso!
Se qualsiasi fedele di media intelligenza si soffermasse per un momento
a riflettere sulle “sante” e familiari parole che almeno domenicalmente
pronuncia (ma al fedele è chiesto di non riflettere…), si accorgerebbe
di aver da sempre recitato, senza rendersene conto, un insensata e
delirante adesione a quello che può essere definito un autentico
manifesto della follia recante la firma contraffatta di Dio!
Gli autori di tale “contraffazione” sono gli stessi che ancora oggi
difendono ed ostentano il proprio primato apostolico a sostegno del
quale fanno pretestuosamente valere il verso di Matteo 16:18 “E anch'io
ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e
le porte dell'Ades non la potranno vincere” da loro stessi
maldestramente introdotto nel canone neotestamentario.
In base a questa assurda pretesa di rivestire il ruolo di ambasciatore
di Dio in terra, “Sancta Romana Ecclesia” da quasi duemila anni
pronuncia e interpreta la parola di Dio… a proprio ed esclusivo fine di
potere e il dogma non è che l’aspetto più sfrontato ed arrogante
dell’esercizio abusivo di tale ruolo.
Nei secoli, con il ricorso a tale strumento, le più straordinarie
assurdità sono state proclamate “verità assolute e indiscutibili” come
se fossero state pronunciate dalla viva voce di Dio.
La prima espressione concreta di tale intollerabile abuso fu quella
della “consustanzialità” del Figlio rispetto a Padre (Nicea, 325),
successivamente integrata dall’indecifrabile “unità trinitaria”
(Costantinopoli, 381), cervellotico compromesso tra l’ostentato
monoteismo di ebraica derivazione e l’evidente politeismo di un culto
incentrato sull’adorazione del “Figlio” oltre che del “Padre”.
A complicare ulteriormente le cose intervennero poi le pronunce su Maria
che finì, di fatto, con l’assumere il ruolo di “quarta persona
trinitaria”.
La sua “carriera” iniziò nel Concilio di Efeso del 431 (precedentemente
il suo nome non trovava posto nemmeno tra quelli dei santi pronunciati
nelle litanie) grazie a Cirillo d'Alessandria che fece in modo che fosse
definita "madre di Dio", adoperandosi con ogni mezzo (lecito e illecito)
per la promulgazione del dogma della maternità divina.
Esiste addirittura un elenco di regali (eulogias) che lo stesso
distribuì ad alti funzionari imperiali per ingraziarsene i favori allo
scopo di evitare il suo arresto, legittimare il Concilio contro un altro
di orientamento nestoriano in contemporaneo svolgimento e, soprattutto,
ottenere il riconoscimento del dogma al quale teneva tanto.
Seguì poi la proclamazione della sua perpetua verginità (Costantinopoli,
553).
Dopo più di un millennio, nel 1854, venne stabilita la sua nascita in
assenza di macchia (immacolata concezione) mentre soltanto nel 1950 se
ne proclamò l’assunzione in cielo anima e corpo!
E’ da notare che quando Pio XII, parlando a nome di Pietro asserì
quest’ultima verità rivelata (da chi... visto che gli stessi Vangeli non
ne sanno nulla?) ”infallibilmente" (grazie ad altro dogma simile a
quello in base al quale i parlamentari aumentano lo stipendio a se
stessi…), in cielo volavano già gli aerei (dai quali la Madonna non fu
avvistata…), qualcuno pensava alle prime missioni spaziali, da un capo
all'altro del mondo si parlava con il telefono, in America già esisteva
la televisione e quattro anni dopo arrivava anche in Italia.
Eppure fu creduto e, cosa più grave, lo è ancora!
Sull’esistenza di questo straordinario “telefono senza fili” che
congiunge il “trono di Pietro” con l’”alto dei cieli” non mancano le
conferme talvolta immediate: Pio IX non aveva ancora nemmeno riposto la
penna con la quale nel 1854 firmò “per conto di Dio” (sic!) l’immacolata
concezione di Maria, che nel 1858 a Lourdes una contadinella ignorante
di nome Bernadette Soubirous se la ritrovò davanti con il biglietto da
visita in mano “Io sono l’immacolata concezione”: è come se io,
dovendomi presentare, dicessi “io sono il concepimento di Giancarlo
Tranfo”!
Per brevità trascuro le altre straordinarie perle di saggezza “divina”
(quali l’istituzione del purgatorio o la transustanziazione), per
soffermarmi ancora un momento sui dogmi cristologici e su quelli mariani
e proporre una riflessione sulle assurdità che derivano dalla loro
interazione: se Gesù, perfettamente umano e divino (Calcedonia, 451) è
uno con il Padre (Costantinopoli, 381) e Maria è madre di Dio (Efeso,
431) e cioè di Gesù, allora è anche madre del Padre (uno con il figlio)
e figlia di suo figlio (uno con il Padre) che dunque è anche suo padre e
che, essendo nato prima dell’inizio dei tempi è nato prima di sua
madre...
In questo incesto alla rovescia con andata e ritorno nel tempo… chi può
illuminarmi sul ruolo del povero Giuseppe e su come lo stesso abbia
potuto trasmettere la propria discendenza davidica al “Re dei Giudei”?
BIOGRAFIA
Giancarlo Tranfo è nato a Roma nel 1956.
Provenendo da una nobile famiglia di integerrima fede cattolica e di
antica tradizione forense, per onorare la proprie origini si è laureato
in Giurisprudenza, dedicandosi tuttavia successivamente allo studio del
cristianesimo delle origini.
Circa dieci anni fa decise di cimentarsi in una ricerca storica,
condotta sulle fonti ellenistico- romane e neotestamentarie, volta a
confermare la tradizione cristiana e, in particolare, il personaggio di
Gesù di Nazareth al quale, fin da bambino, si sentiva molto legato.
Gli esiti di tale impegno furono, tuttavia, diametralmente opposti alle
premesse e il suo lavoro, arricchendosi nel contempo dell’apporto di
nuove conoscenze sui culti del mondo antico, approdò, dopo varie tappe
intermedie, ad una prospettiva di radicale negazione delle origini
storiche del personaggio di Gesù.
Soltanto nel 2005, a seguito di un travaglio di coscienza dal quale si
dice non ancora uscito, Tranfo ha deciso di pubblicare il suo primo
studio in internet realizzando il sito web
www.Yeshua.it , del
quale è tutt’ora unico curatore, che in meno di tre anni ha ricevuto
circa duecentomila visite.
Negli ultimi tempi Tranfo ha acquistato una certa notorietà, soprattutto
nel mondo web, a seguito di due iniziative che hanno avuto vasta eco:
una pubblica sfida epistolare a dimostrare la storicità di Cristo,
lanciata agli avvisi del prof. F. Bisconti, segretario della Commissione
Pontificia di archeologia sacra, e una
pungente recensione del libro di
J. Ratzinger “Gesù di Nazareth”, ripresa da centinaia di siti web e blogs, pubblicata da riviste specializzate in indagini storiche “di
frontiera” e inserita in appendice al secondo libro di Luigi Cascioli
“La Morte di Cristo, cristiani e cristicoli”.
Ad aprile 2008 Tranfo pubblicherà il suo primo libro “La Croce di Spine-
Gesù: la storia che non vi è ancora stata raccontata”, edito da Chinaski
Edizioni di Genova, che sarà facilmente reperibile presso le principali
librerie italiane o che, in alternativa, potrà essere ordinato presso lo
stesso sito
www.Yeshua.it .
Nel suo libro Tranfo, avventurandosi in lungo percorso testuale di circa
450 pagine, affronta la spinose problematiche connesse allo studio
storico del cristianesimo primitivo, avvalendosi dei criteri di ricerca
suggeriti dalla metodologia scientifica.
L’immagine di Cristo che questo lavoro restituisce al lettore è quella
di un personaggio leggendario, frutto di una creazione letteraria
ispirata ai semidei dell’antichità pagana, iniziata nel secondo secolo e
completata in quelli successivi.
La biografia evangelica del Messia cristiano sarebbe stata costruita
attingendo alla vicenda reale di due personaggi storici realmente
esistiti: il figlio primogenito di Giuda il Galileo, discendente
davidico della famiglia Asmonea e fondatore della setta degli zeloti,
arrestato dai romani sul Monte degli Ulivi e crocifisso per il reato di
lesa maestà e Yeshua (Gesù) detto ben Panthera, il figlio illegittimo
di un soldato romano di stanza in Palestina tra il 6 e il 9 d.c.,
divenuto un “illuminato” profeta, elevato dal popolo al rango di messia
sacerdotale, successivamente condannato dal sinedrio ebraico per i reati
di apostasia e stregoneria, lapidato a Lydda (vicino Gerusalemme) nel 73
d.c. ed appeso ad una croce.
Dall’unione del messia sacerdotale Yeshua (Gesù) con il terribile
messia davidico “Kristos” (Cristo, Unto) figlio di Giuda il Galileo,
sarebbe nato l’unico Gesù Cristo che perdendo ogni originale
connotazione ebraica, avrebbe nel tempo acquistato la stessa fisionomia
degli antichi Soter universali di origine pagana e orientale, divenendo
tra il II e il IV secolo d.c. il “Re del Mondo”.
giovanna.canzano@email.it
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