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Yeshua

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LA CROCE DI SPINE

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La nascita illegittima

 

Yeshua ben Stada o ben Pandera: si può iniziare a mettere ordine nel confuso materiale letterario riportando ad un'unica individualità i riferimenti ai due patronimici (figlio di Pandera o di Stada).

In Stada è possibile, infatti, riconoscere una forma contratta di stath-tah-dah, ossia “colei che ha abbandonato il marito”.

Lo Yeshua figlio di una donna che “ha abbandonato il marito”, può dunque essere anche il figlio di Pandera o Panthera, così come un passo talmudico sembra confermare:

 

“… questo figlio di Stada era il figlio di Pandira. Infatti il rabbino Chasda ci dice che Pandira era il marito di Stada, sua madre, ed egli visse durante la vita di Paphus, il figlio di Jehuda. Ma sua madre era stada, Maria di Magdala (una parrucchiera per signore) che, come dice il Pumbadita, aveva lasciato il marito." (141).

Nel nome di Pandera o Panthera gli studiosi di matrice cristiana si sforzano di vedere un significato allegorico, dato dall’alterazione in senso ingiurioso del termine greco “parthenos” (cioè vergine), in modo da relegare il personaggio stesso nell’ambito delle creazioni favolistiche di origine parodica.

Purtroppo per loro, già nel II secolo e in ambienti ben diversi da quelli delle scuole ebraiche che diedero vita alla Mishnah, il filosofo Celso, nel Discorso della Verità, riferì una personale versione sia dell’origine del discusso patronimico che della stessa vita del messia cristiano, già da lui  ritenuto un singolo soggetto realmente esistito.

Celso in realtà, parlando di Yeshua ben Panthera, si riferì a quelle tradizioni orali, probabilmente circolanti già in epoca remota in quella parte della comunità giudaica romana ostile al cristianesimo, che incontriamo in forma molto simile nella letteratura rabbinica dei secoli successivi.

Ad un racconto così antico, circostanziato e ben argomentato, deve essere riconosciuta una certa storicità, anche se, come le successive attestazioni rabbiniche, non può essere preso alla lettera in quanto, almeno in qualche misura, sicuramente inficiato da un chiaro intento denigratorio (142).

Il personaggio che emerge in maniera diffamante, non ha nulla dell’eroe davidico, diversamente dal quale è un povero, nato da un adulterio, che si diede alla magia e ai trucchi per proclamarsi Dio.

 

“T’inventasti la nascita da una vergine: in realtà tu sei originario di un villaggio della Giudea e figlio di una donna di quel villaggio, che viveva in povertà filando a giornata. Inoltre costei, convinta di adulterio, fu scacciata dallo sposo, falegname di mestiere. Ripudiata dal marito e vergognosamente randagia, essa ti generò quale figlio furtivo. Spinto dalla povertà andasti a lavorare a mercede in Egitto, dove venisti a conoscenza di certe facoltà per le quali gli Egiziani vanno famosi. Quindi ritornasti, orgoglioso di quelle facoltà e grazie ad esse ti proclamasti Dio. Tua madre, dunque, fu scacciata dal falegname, che l’aveva chiesta in moglie, perché convinta di adulterio e fu resa incinta da un soldato di nome Panthera.” (143).

 

Di fronte agli sforzi interpretativi degli esegeti cristiani, sorge spontanea una riflessione: è decisamente più credibile l’esistenza reale di un soldato chiamato “Panthera” (o simile), colpevole insieme a Maria di un “peccato di gioventù”, piuttosto che una maternità virginale per intervento dello Spirito Santo, di fronte alla quale i diffamatori giudei non avrebbero trovato di meglio che scimmiottare il termine greco di vergine (parthenos) al quale, a ben vedere, Panthera nemmeno somiglia poi tanto!

Oltretutto il nome Panthera si ritrova in iscrizioni di soldati romani in Palestina (144).

Si tratterebbe di Tiberius Julius Abdèus Panther (Tiberio Giulio Abdeo, detto Panthera), milite dell'esercito romano nel quale, probabilmente, rivestì il grado di centurione, di una coorte militare di guarnigione in Palestina fino al 9 d.C. (145).

Successivamente fu trasferito in Germania e morì all’età di 62 anni vicino all’attuale Bingerbrück dove è stato trovato un monumento funebre in cui appare inciso il suo nome (146).

D’altra parte, se il fatto fosse calunnioso e il nome di Panthera inventato, i Padri della Chiesa non avrebbero cercato di ingenerare confusione con il consueto trucco, già collaudato nelle scritture evangeliche, di nominare le persone giuste nel posto o nel ruolo sbagliato: il nome di Pandera, evidentemente noto in antichità ed effettivamente sospettato di essere il padre di colui che nel frattempo era diventato Gesù, appare nelle sdegnate smentite di Origene. Al fine di controbattere la diffamante storia, egli scrisse che Panther era il soprannome di Giacomo nonno di Gesù, cosa successivamente certificata nella genealogia ricostruita da San Giovanni Damasceno (147)!

La menzione, contro ogni uso dell’epoca, di quattro donne (peraltro di pessima fama) nella genealogia di Gesù riportata da Matteo, potrebbe essere stata ugualmente ispirata dall’intento di allontanare da Maria qualsiasi sospetto screditante, direzionando l’infamia su diversi soggetti già noti per via della stessa (148).

 

Le fonti rabbiniche, in sintonia con le asserzioni di Celso, si riferiscono al concepimento di Gesù come al frutto di una relazione adulterina di Miriam (Maria) con Giuseppe Pandera, a seguito della quale la stessa sarebbe stata abbandonata dal promesso sposo di nome Giovanni.

 

“Vicino alla sua casa abitavano una vedova e la sua bella e casta figlia, chiamata Miriam. Miriam era promessa a Giovanni, della stirpe reale di David, un uomo istruito nella Legge e timorato di Dio.

Alla fine di un Sabbath, Giuseppe Pandera, bello e in apparenza simile a un guerriero, avendo ammirato Miriam con lussuria, bussò alla sua porta e la ingannò, fingendo di essere il suo promesso sposo, Giovanni. Anche così, ella fu stupita da questa cattiva condotta e si sottomise soltanto controvoglia.

Più tardi, quando venne da lei Giovanni, Miriam si lamentò del suo comportamento, così diverso da quello consueto. Fu così che i due si resero conto del misfatto di Giuseppe Pandera e del terribile sbaglio da parte di Miriam. In seguito a ciò, Giovanni andò dal maestro Shimeon ben Shetah e gli raccontò della tragica seduzione. Poiché mancavano i testimoni necessari per la punizione e Miriam aveva concepito un figlio, Giovanni partì per Babilonia.

Miriam partorì un figlio maschio e lo chiamò Giosué, come suo fratello. Questo nome più tardi fu deformato in Gesù. L’ottavo giorno, (il bambino) fu circonciso. Quando fu abbastanza grande, il ragazzo venne portato da Miriam nella scuola, per essere istruito nelle tradizioni dei Giudei.” (149).

 

Lo stesso dicasi in relazione a quanto raccontato nel Trattatello Kallah, (1b), dove viene riferita la confessione di Maria al rabbi Akibah, estortale con la falsa promessa della salvezza nella vita futura:  “Il giorno che mi sposai avevo le mestruazioni, e a causa di ciò, mio marito mi lasciò. Ma uno spirito malvagio venne e giacque con me e da quel rapporto mi nacque questo figlio.” 

Con la discendenza del personaggio di Gesù dal soldato romano chiamato Panthera, trova una spiegazione anche l’appellativo altrimenti oscuro di “Cristo il romano” riportato nell’antico libro sacro di Giovanni, custodito dai Mandei (150).