Yeshua |
Spazio Google adsense
|
Gli estratti pubblicati sono soggetti a Copyright. E' possibile stampare o diffondere gli stessi in internet, purchè non modificati e semprechè espressamente riferiti all'autore. LA CROCE DI SPINE |
TESTIMONIUM FLAVIANUM
Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, seppure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie (o nuove), maestro di uomini che accolgono con piacere la verità,(o le nuove dottrine) ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente avendo già annunziato i divini profeti questa e migliaia di altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani.
Il passo, come accennato, nel corso dei secoli, è stato oggetto di lunghe ed accese contese tra storici, esegeti e teologi (6) dalle quali, sostanzialmente, sono emerse le tre seguenti posizioni:
1 - è integralmente autentico 2 - è integralmente falso 3 - la base è autentica ma è stato condizionato da numerose aggiunte posteriori
Cominciamo col dire che la posizione nella quale si riconoscono gli studiosi più vicini alla dottrina della Chiesa, volta ad accreditare globalmente l’autenticità del passo, non è assolutamente credibile per vari motivi. Innanzitutto è addirittura inverosimile pensare che Giuseppe Flavio, discendente da nobile stirpe sacerdotale, fidato collaboratore del Sinedrio e, pertanto, di indubbia fede ebraica, possa aver descritto Gesù sottolineandone gli aspetti miracolistici e quelli connessi alla natura messianica in senso divino. Se, poi, il passo fosse integralmente autentico e se, dunque, Giuseppe Flavio asserendola avesse (per forza di cose) conseguentemente condiviso la natura divina di Gesù, considerando anche l’eccezionalità di tale aspetto, non avrebbe dovuto dedicare spazi ben più ampi di quelli offerti dal Testimonium Flavianum alla vita ed alle opere dell’uomo/dio? A seguito di tale inaudita attestazione di “divina messianicità”, come avrebbe potuto un sacerdote ebreo continuare a considerarsi fedele e ad esercitare il proprio ministero per quella fede che professava (come ancora oggi professa) l’attesa del messia? Che senso avrebbero, inoltre, espressioni come “...Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi...” se Giuseppe, condividendo la natura divina di Gesù, si fosse integralmente identificato con i seguaci della fede cristiana? Che senso avrebbe avuto, infine, la posizione assunta da Giuseppe a proposito di Vespasiano che egli ritenne il “profeta” atteso da Israele (diversamente dai giudei che ne attendevano un altro di “biblica investitura) (7)? Come avrebbe giustificato la sua apologia di fronte a quel potere imperiale al quale politicamente si votò, e che individuava nel movimento cristiano (sarebbe meglio dire giudeo-messianico) un pericolo per l'ordine pubblico? La posizione di chi ritiene che il passo sia stato integralmente introdotto nell’opera per mano di traduttori e copisti di fede cristiana, allo scopo di fornire credibilità storica all’esistenza di Gesù, risulta già più attendibile, anche se non del tutto condivisibile per i motivi di seguito illustrati. In effetti lo storico cristiano Origene, vissuto verso la fine del III secolo, pur conoscendo le opere di Giuseppe Flavio, nella sua confutazione al Discorso Veritiero di Celso dimostrò di ignorare l'esistenza del Testimonium Flavianum, mentre il primo a parlarne profusamente fu Eusebio di Cesarea nel IV secolo, al punto che molti ipotizzano un inserimento fraudolento del passo nel corpo dell'antica scrittura (8) . Gli apologisti cristiani del II e del III secolo, in particolare Clemente Alessandrino, Ireneo, Tertulliano, Giustino e Ippolito, pur conoscendo l'opera di Giuseppe, non citano mai questo brano che, se originariamente presente nella stessa, sarebbe tornato loro molto utile. Origene, invece, non solo ignorava l'esistenza del passo in questione, ma asseriva che Giuseppe non credeva alla natura messianica di Cristo:"E la cosa sorprendente è che egli, pur non ammettendo il Gesù essere il Cristo, ciò nondimeno rese a Giacomo attestazione di tanta giustizia” (9) . In un’altra opera, lo stesso riprese il medesimo concetto, facendo egualmente rilevare come Giuseppe abbia detto queste cose “sebbene non credente in Gesù come il Cristo” (10). L'aspetto fondamentale delle asserzioni di Origene, sul quale nessuno (tra tanti autori esaminati) sembra soffermarsi, è che lo stesso non solo non conosceva il passo in questione (11), ma evidentemente ne conosceva un altro (o più d'uno), che noi non conosciamo (perché verosimilmente estrapolato dall’opera), nel quale Giuseppe dichiarava esplicitamente la sua contrarietà alla natura messianica di Gesù o della sua controfigura storica che, come vedremo, esistette realmente. L'ipotesi più probabile è che Origene conoscesse tale orientamento di Giuseppe grazie ad una versione così diversa del passo in esame, da mantenere in comune con quella a noi nota soltanto pochi elementi identificativi riguardanti verosimilmente l'uomo, il suo martirio, il suo seguito . L’affermazione di Origene, infatti, lascia supporre che lo storico abbia parlato di un messia (o presunto tale) ma in modo profondamente diverso e lontano da come potremmo pensare, confortati dalle narrazioni neotestamentarie. Lo ha fatto sicuramente nella versione originale di questo passo, così come probabilmente in altre e diffuse parti delle sue opere che sono state soppresse (12). Non possiamo trascurare il fatto che le opere di F. Giuseppe siano rimaste nelle mani della Chiesa per secoli, e che le più antiche copie a noi note, risalgano soltanto al medioevo. In altre parole, i “venerabili” padri della Chiesa hanno avuto tempo e modo di stravolgere a fini apologistici il passo in questione, inserendovi un condensato di affermazioni finalizzate a comprovare l’esistenza storica di Cristo, la sua natura divina e il suo ingiusto martirio. Allo stessa maniera hanno avuto tempo e modo per censurare, integrare, spostare e alterare altri passi, allo scopo di rendere irriconoscibili i reali personaggi ispiratori della favola cristiana, innestando a posteriori, su un quadro storico che conobbe solo ed esclusivamente il messianismo giudaico insurrezionale, quel prodotto figlio del II secolo, nato da un gigantesco sincretismo nel quale vennero a confluire archetipi appartenenti ai culti pagano- misterici orientali e alla cultura ellenistica. Origene ebbe il privilegio di leggere la versione originale delle opere; allo storico moderno non resta che tentare di ricostruirne i contenuti. Fortunatamente l’opera fraudolenta delle “pie mani” è stata a volte così approssimativa, se non addirittura posticcia e grossolana, da rendere tale ricostruzione difficile, ma non impossibile. Consapevoli della delicatezza del compito che ci attende nei successivi capitoli, per ora restringiamo nuovamente l’esame al Testimonium Flavianum. Alcuni esegeti, si sono cimentati nell’emendare il passo da tutte le enfatizzazioni di fede, giungendo alla conclusione che il testo ottenuto dovesse essere simile a quello originario il quale, una volta reso "asettico" potrebbe tranquillamente essere ascrivibile ad uno scrittore di fede non cristiana . Per la verità questo esperimento non è del tutto convincente: forse l’intuizione è corretta, ma l'intervento delle "pie mani” dovette essere ben più pesante di quello ipotizzato. Nel 1971 fu scoperta una Storia universale, scritta in Siria nel X secolo dal vescovo e storico cristiano Agapio di Ierapoli (Frigia, Asia Minore), riportante una traduzione araba del Testimonium. Il testo, più sobrio di quello greco tramandato, sembra correggerne soltanto le enfatizzazioni più esagerate, lasciando tuttavia salva quella struttura espositiva e quei contenuti che, come già detto, non sono assolutamente compatibili con il pensiero e la penna di F. Giuseppe:
“Similmente dice Giuseppe l’ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: “Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso (o dotto), e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione e alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato (o: dottrina) e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie”.
Non pensiamo sia il caso di spendere tempo a valutare la possibile autenticità di questa versione. Riteniamo che l’improbabile possibilismo espresso da frasi come “… ed era probabilmente il Cristo” (di fronte alle quali è difficile rimanere seri) tradisca l’evidente intento, da parte di un falsario intenzionalmente più cauto e accorto del precedente, di inseguire la credibilità persa con la versione nota del Testimonium per via dell’esagerata attestazione di divinità in essa riportata. Passiamo, dunque, ad altro. Senza anticipare i più importanti esiti di questo studio, ci limitiamo in questa sede a dichiararci convinti che Giuseppe Flavio parlò del messia davidico (qualche labile traccia è rimasta) così come parlò in più parti di suo padre e dei suoi fratelli (dei quali sono rimaste tracce più che evidenti). Rasentando la creazione letteraria, possiamo ipotizzare che nella versione originale del Testimonium Giuseppe possa aver parlato di tale messia (che come dimostreremo fu la controfigura storica di Cristo) come di un flagello che ebbe al seguito ribelli e malfattori, che fu giustamente condannato alla croce sotto Pilato e che continuò ad impensierire l'impero per via dei suoi seguaci, i quali raccontarono di averlo visto successivamente alla sua morte. Tali (possibili) parole e pensieri sarebbero peraltro in perfetta coerenza e sintonia con i toni usati dallo stesso nella narrazione delle varie "avventure messianiche" da parte di altri, considerati "imbroglioni", "individui falsi e bugiardi" e "falsi profeti" (13). D'altro canto, considerando la fede politica di Giuseppe Flavio e gli effetti destabilizzanti che l’insurrezionalismo messianico arrecava al controllo della Palestina da parte di Roma, per quale motivo egli, duro e critico con i "falsi profeti", avrebbe dovuto avvertire soltanto con Cristo la necessità di rimanere su toni miti e addirittura ammirati? Entriamo, ora, nel merito del passo per valutarne le singole affermazioni.
“Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio…”
In genere quando Giuseppe introduce nella narrazione un nuovo personaggio, lo fa specificandone il patronimico o, al limite, la città di origine. L’omissione, in questo caso, di un tale requisito identificativo (importante come per noi è il cognome) è già sufficiente a legittimare fondati dubbi di autenticità. Andando oltre tali dubbi, si può anche ipotizzare il motivo per il quale il falsario, spacciatosi per Giuseppe, evitò tale necessaria specificazione: quale patronimico avrebbe dovuto riportare? Dio, del quale è figlio Gesù Cristo, lo Spirito Santo, per l’intervento del quale fu concepito, o Giuseppe che, buon ultimo, non può essere considerato geneticamente il vero padre in quanto estraneo al concepimento? Tralasciando le ulteriori perplessità derivanti dal ricorso, da parte di Giuseppe, al nome di Gesù, che come vedremo farà la sua comparsa nella letteratura cristiana non prima della seconda metà del II secolo, passiamo ai periodi successivi.
“ … seppure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini…”
Giuseppe Flavio avrebbe dunque considerato riduttiva per Gesù la definizione di “uomo” in virtù della straordinarietà delle opere delle quali lo stesso fu autore. Abbiamo già evidenziato il fatto che una simile asserzione, più coerente con un manualino di catechismo che con la testimonianza di un sacerdote ebreo, avrebbe costituito per l’integerrimo Giuseppe una vera e propria dichiarazione di apostasia. Ci poniamo ora una nuova domanda: per quale motivo, dopo aver accennato a tali opere, lo stesso autore, che normalmente narra fatti di gran lunga meno “straordinari”, non ne fa menzione delle stesse in alcuna parte delle sue opere? Come mai una descrizione di Gesù così lontana nei termini e nella sintassi dal vocabolario e dallo stile di Giuseppe Flavio, appare invece in identica forma in un’opera di Eusebio di Cesarea, teologo e Padre della Chiesa di età costantiniana, sospettato, come già accennato, di aver fraudolentemente inserito a fini apologistici il Testimonium nel corpo dell’opera di Giuseppe.: “ … e Dio sarebbe venuto su questa terra e sarebbe stato autore di opere straordinarie e maestro a tutte le nazioni…” (Storia Ecclesiastica 1, 2, 23)? E’ utile, a questo punto, arricchire il profilo del “Santo mentitore”, che spacciandosi per Giuseppe Flavio ha lasciato la propria firma ideologica nell’unica attestazione di storicità di Cristo estranea alla letteratura sacra, citando l’apologia della menzogna” (pseudos) nella quale scrivendo la sua Praeparatio evangelica (XII, 31), si cimenta difendendo ideologicamente il “falso” che egli ritiene come una "medicina" alla quale è "legale ed appropriato" ricorrere!
“… questi era il Cristo”
Per i cristiani il termine “Cristo” è un identificativo esclusivo di Gesù (simile ad un cognome) mentre secondo la comune accezione giudaica del tempo, che Giuseppe doveva avere ben presente, per “Cristo” si intendeva “colui che viene consacrato come messia mediante una solenne cerimonia di unzione”. Di “Unti”, nella storia del popolo ebraico, ve ne fu più d’uno ma per nessuno di loro tale termine acquistò quel significato unico e irripetibile che il cristianesimo riconosce a Gesù e che Giuseppe Flavio, parlando una lingua ancora sconosciuta al suo tempo, in questo passo sembra anticipare. Il sospetto sull’uso della lingua sconosciuta nasce anche dalla strana enunciazione, per bocca di Giuseppe, dei capisaldi del “credo” cristiano sanciti dal concilio di Nicea, voluto dall’imperatore Costantino addirittura due secoli dopo:
“ …, per denunzia degli uomini notabili tra noi”
Giuseppe Flavio, o chi ne fece così maldestramente le veci, con l’espressione “uomini notabili tra noi” intese riferirsi al Sinedrio. Il ricorso ad un giro di parole apparentemente inspiegabile, sembra nascondere il timore dell’autore di menzionare un organo di primaria importanza per il quale, peraltro, egli stesso svolse le funzioni di Legato e nel quale ebbero un ruolo di primo piano i componenti della sua famiglia. Parlando della crocifissione di Gesù Cristo apriremo una parentesi di approfondimento in seno alla quale, spaziando dall’angusto tracciato del Testimonium all’intera opera delle Antichità Giudaiche, avremo modo di chiarire il motivo di tale strano comportamento che, al momento, possiamo definire come conseguente ad una “riforma lessicale” successiva alla stesura dell’opera e all’autore stesso e scientemente condotta su gran parte dello scritto, allo scopo di oscurare l’esistenza e l’attività della suprema istituzione ebraica negli anni di Cristo.
“Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani.”
Per la verità, negli anni nei quali Giuseppe Flavio scrisse, “la tribù di quelli che da costui sono chiamati cristiani” non era ancora nemmeno nata! Lo era invece sicuramente ( ed era peraltro anche ben vegeta) negli anni nei quali un anonimo (fino ad un certo punto…) falsario, spinto da fede e mistica ispirazione, decise di rendere apostata un legato del Sinedrio, facendolo genuflettere dinnanzi ad una divinità ancora sconosciuta sia a lui che al mondo del suo tempo, nel quale aveva appena iniziato a circolare l’embrione della rivisitazione storica degli eventi, firmata da Paolo di Tarso e dai suoi seguaci. Gli ultimi anni del periodo detto del “secondo tempio” conobbero soltanto il messianismo dell’attesa e la fede in quella guerra santa che, grazie ad un messia inviato da Dio, avrebbe liberato Israele dalla schiavitù dell’odioso nemico romano e degli illegittimi regnanti locali (politici e sacerdotali) suoi alleati. I tentativi di rivolta fallirono uno dopo l’altro, la biblica promessa rimase disattesa e, allo svanire dell’illusione, il giudaismo messianico perdente, evolvendosi in cristianesimo paolino vincente, decise di guardare indietro e di scegliere tra i tanti “Kristos” quello che a suo tempo più si avvicinò alla realizzazione del sogno. Si disse che il messia, pur essendosi manifestato, non era stato riconosciuto e che per questo era stato ucciso dal suo popolo nonostante la volontà contraria dei romani. Era il “re del mondo” e non il “re dei Giudei”, promise la vita eterna in cielo e non la liberazione di Israele in terra.
Concludiamo l’esame del controverso Testimonium con alcune importanti riflessioni di carattere generale. Il passo, che non ha un antefatto né una conclusione, appare all’improvviso tra la narrazione di due episodi, con i quali non ha alcuna connessione logica o espositiva: la sottrazione da parte di Pilato del denaro del sacro tesoro per la costruzione di un acquedotto, e le “azioni scandalose” poste in essere a Roma dai seguaci di Iside, contemporaneamente alle vicende amorose di una tal “signora Paolina” (14). La sorpresa, tuttavia, non viene da tale singolare collocazione (sulla quale avremo modo di ritornare in seguito), quanto piuttosto da ciò che ne consegue, in termini di cronologia degli eventi, comparando le attestazioni di F. Giuseppe con le scritture neotestamentarie. Secondo Luca, la missione di Giovanni il Battista, che Giuseppe fa apparire in un periodo successivo a quello al quale con il Testimonium riferisce la vicenda di Gesù, iniziò nell’anno 29 d.c. (15) e, restando sempre ai Vangeli, si concluse mentre il suo coetaneo Gesù (che nel frattempo aveva iniziato la propria) era ancora vivo: quindi, non oltre il 30- 31 d.c. La lite tra Erode Antipa ed Areta IV iniziò successivamente alla morte di Filippo, fratello di Erode, che, come detto da Giuseppe Flavio, avvenne “nel ventesimo anno di Tiberio, dopo avere governato per trentasette anni la Traconitide, la Gaulanitide e la tribù detta dei Batanei” (16), pertanto nel 34 d.c.. La battaglia che ne seguì e che segnò la disfatta di Erode, ebbe luogo nel 36 d.c., in quanto sappiamo che Tiberio inviò il legato di Siria Vitellio in aiuto dello sconfitto Erode, il quale, giunto a Gerusalemme, si fermò, essendo venuto a conoscenza che Tiberio era morto (37 d.c.) La data certa della battaglia (36 d.c.) costituisce la prova più evidente dell’alterazione da parte dei redattori dei Vangeli della cronologia degli eventi per fini strumentali. Giuseppe Flavio, infatti, afferma che l’unione di Erode con Erodiade, moglie di suo fratello, fu la causa scatenante delle ire di Areta, essendo questi il suocero di Erode, il quale, messo a conoscenza dalla figlia dell’intenzione del marito di ripudiarla, mosse guerra contro il genero. Sappiamo dai soli Vangeli, che il Battista fu imprigionato e successivamente giustiziato per via delle sue accuse di adulterio contro Erode, colpevole di essersi unito alla moglie di suo fratello. Come può essere avvenuto tutto questo intorno al 30 d.c. (periodo nel quale i Vangeli collocano la vicenda del Battista) se i riferiti eventi sono avvenuti in stretta sequenza temporale tra il 34 e il 36 d.c.? Evidentemente gli Evangelisti, con la retrodatazione della fine di Giovanni Battista, hanno inteso garantire quella “coerenza” cronologica artificiosamente costruita intorno al personaggio di Gesù, alla durata della sua vita e, di conseguenza, alla data della sua morte (17). Ma c’è dell’altro. Giuseppe riferisce che “ad alcuni Giudei parve che la rovina dell'esercito di Erode fosse una vendetta divina, e di certo una vendetta giusta per la maniera con cui si era comportato verso Giovanni soprannominato Battista” (18). Accertato che Giovanni Battista morì non prima del 34 e non oltre il 36 d.c., e considerando che secondo i Vangeli Gesù gli sopravvisse, si arriva alla conclusione che nello stesso periodo Gesù era ancora vivo nel pieno dei suoi 40 anni circa (se, come si evince dal Vangelo di Matteo, nacque nel 4 a.c.). Se invece Gesù al tempo della morte del Battista fosse già morto da tempo, come si intenderebbe dalla collocazione cronologica del Testimonium rispetto al passo che narra di quest’ultimo (19), che senso avrebbe l’affermazione di Matteo su Erode che, udendo la fama di Gesù “disse ai suoi servitori “costui è Giovanni Battista! Egli è resuscitato dai morti”” (20)? Che fine farebbe quanto riferito da Marco: “ Dopo che Giovanni fu messo in prigione, Gesù si recò in Galilea, predicando il Vangelo di Dio…” (21)? Come mai, infine, il popolo avrebbe imputato la sconfitta di Erode alla vendetta divina per la morte del Battista? Possibile che avesse già dimenticato quella del “Figlio di Dio” nella quale, secondo il Vangelo di Luca, anche Erode fu coinvolto (22)?
Prescindendo, ora, dal Testimonium ed estendendo lo sguardo all’insieme delle opere di Giuseppe Flavio, sorge spontanea una riflessione: per quale motivo in Guerra Giudaica (scritta circa un ventennio prima di Antichità Giudaiche) non si incontra traccia alcuna di Gesù o di Giovanni Battista, nonostante gli argomenti trattati nella prima opera fossero di regola nuovamente affrontati e meglio approfonditi nella seconda? Forse il “Figlio di Dio”, che si incarna e sbalordisce un intero popolo con prodigi straordinari, è degno di apparire appena in Antichità Giudaiche, dove si parla molto di più della “signora Paolina”, ma non lo è abbastanza da essere quantomeno accennato in Guerra Giudaica? Non è forse legittimo pensare a tale discontinuità come ad un “errore di coerenza”, dato dall’impossibilità per i falsari di raggiungere ed alterare uniformemente l’intera mole di manoscritti circolanti? Il lettore avrà compreso, a questo punto, la necessità di fugare ogni dubbio sulla non autenticità (totale o parziale che sia) del Testimonium Flavianum. Se rimosso, come deve essere, da Antichità Giudaiche, lascia la più dettagliata cronaca dei fatti avvenuti in Palestina nel I secolo priva di qualsiasi attestazione sull’esistenza di Gesù di Nazareth. In seguito chiameremo ancora e più volte in causa il buon Giuseppe, sul quale contiamo per ricostruire la realtà storica delle vicende che, come dimostreremo, furono prese a pretesto dalla favola neotestamentaria. Facendo questo ci accorgeremo di quanto sia facile (volendolo fare) riconoscere l’inchiostro vero da quello falso...
|